Fine vita. Sulle Dat le condizioni dei notai
«Registro nazionale per le volontà di fine vita. Legge da cambiare». I professionisti del diritto chiamati ad applicare la norma in discussione al Senato chiedono più chiarezza.
Più domande che risposte. Quel che sta accadendo lungo il percorso della legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat) è eloquente: mano a mano che l’iter avanza (dopo il varo alla Camera il 20 aprile la legge, è in Commissione Sanità al Senato), il ventaglio dei dubbi anziché assottigliarsi si amplia. E viene alimentato da quanti la legge saranno chiamati ad applicarla. Chi ha assistito al convegno organizzato ieri dai notai milanesi per vederci chiaro sul piano dei contenuti – con interventi di Paola Binetti, Adriano Pessina, Umberto Galimberti, Barbara Randazzo, Luciano Eusebi, Andrea Nicolussi, Filippo Anelli e Alberto Gambino – ha toccato con mano le rilevanti perplessità di una categoria che in fatto di accertamento delle volontà chiede certezze e non la retorica della 'libertà' e dei 'diritti' individuali.
Alla quale hanno fatto puntuale riferimento Mina Welby e Marco Cappato («quella sulle Dat è una legge che offre una possibilità di scelta, non si impone a nessuno») ma che ha dovuto fare i conti con la serietà dei rilievi giuridici di professionisti del diritto tutt’altro che tranquilli all’idea di dover applicare forse di qui a pochi mesi una legge ancora nebulosa.
Per i notai è infatti insormontabile la questione del come e dove raccogliere le volontà di fine vita: «Il notariato – dice Carmelo Di Marco, presidente di Federnotai – sostiene la necessità di un registro nazionale delle Dat, che ne permetta la conservazione e la conoscenza in tempo reale in qualunque punto del territorio nazionale». La legge nell’attuale formulazione non prevede un registro simile ma all’articolo 4, 6° comma, si limita a dire che la Dat vanno «redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all’annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie».
Una formulazione dove spicca l’assenza di un registro unico che dia certezza su un terreno delicatissimo. Per i notai certo non può bastare il generico impegno di Emilia De Biasi, relatrice pd del provvedimento a Palazzo Madama, che rimanda a linee guida successive al vacedura ro della legge così com’è («nel testo – riconosce – ci sono imprecisioni, ma le possiamo correggere dopo»). Posizione comprensibile se l’obiettivo è varare a ogni costo il biotestamento entro la legislatura e quindi evitare una correzione qualunque che la farebbe tornare alla Camera. La correzione in questione, poi, sarebbe di non poco conto richiedendo un capitolo di spesa, attualmente non previsto, da spuntare nella legge di bilancio.
Ma le incognite e le lungaggini inevitabili per una pro- simile segnerebbero probabilmente la fine del ddl, agitato da troppi come una nuova bandiera simbolica da inalberare. Le obiezioni dei notai non terminano qui: in questione è anche la formulazione del documento per raccogliere le Dat, sul quale la legge non si pronuncia. «I modelli oggi circolanti, predisposti dai soggetti più diversi, sono troppo generici per una materia così rilevante – dice Enrico Sironi, consigliere nazionale del Notariato –: sui vari moduli scaricabili dal Web non si entra mai nel merito delle infinite patologie e dei conseguenti scenari possibili ».
Pare chiaro che il notaio non potrà mai sostituire il rapporto tra il paziente e il suo medico, né può sapere di medicina a sufficienza (ma certo dovrà imparare a destreggiarsi tra diagnosi e terapie). «La nostra proposta di garantire la presenza del medico alla stesura delle Dat davanti al notaio è caduta alla Camera con il facile argomento dei costi per i cittadini – nota amaro Sironi –. Così si è lasciato campo libero alla soluzione attuale: scrittura privata presentata in Comune su un foglietto, con il solo accertamento dell’identità.
Un po’ poco per decidere della propria vita». Per i notai è decisivo che le volontà di fine vita siano espresse da una persona competente e informata, che sia in sé e certamente priva di condizionamenti esterni. Ma chi lo accerta? E chi lo garantisce davanti allo Stato? La legge su questo si mostra ancora deficitaria. Le Dat – afferma Giuseppe Calafiori, notaio e presidente di Confprofessioni Lombardia – «non devono rendere la relazione del paziente con medico e notaio «burocratica, non ci può essere spazio per moduli, formulari, carte copiative o crocette, al contrario c’è bisogno di una relazione sempre più proattiva e personale». C’è ancora tempo per rimediare.
Link articolo originale Avvenire